giovedì 23 agosto 2012

L'ultima settimana di agosto


Ogni anno, l'ultima settimana di agosto, preparavi la conserva di pomodoro.
Arrivavano quintali di pomodori rossi e maturi, quelli per il sugo, oblunghi, pigiati dentro cassette di legno chiaro fragili come la stagione.
Abitavamo in quella casa da poco, prima era la nostra casa delle vacanze, da vivere solo d'estate. Andavamo a comperare le uova da una contadina che allevava anche le galline: abitava con la famiglia in una casetta di pietra, lungo la strada che era anche la nostra e che non portava da nessuna parte, finiva così, in un grande campo coltivato. A te piaceva, che la strada non conducesse altrove: dicevi che così eravamo più tranquilli, più sicuri. Ero troppo piccola per capirne il significato, allora.
Quella contadina veniva a darti una mano, con la conserva di pomodoro: adesso mi è chiaro il suo ruolo, necessario. Avevi troppo, sulle spalle. Era una gran fatica, per te, lavare tutti quei pomodori, passarli nel passapomodoro, trasformarli in un liquido denso, senza bucce, senza semi, per carità!
Tutto diventava rosso, le tue mani, il lavello, la cucina. Sarà per quella fatica imposta vista da bambina, che adesso, che dell'innocenza di allora mi è rimasto solo il desiderio, se voglio preparare il sugo getto nella padella i pomodori interi, con la buccia, i semi e tutto. E se alla sera, la lunga sera dell'estate, eravamo ancora lì a preparare la conserva, noi bambini spettatori inutili e invadenti, e lui tornava dal lavoro, ricordo la sensazione di paura perché la cena, magari, non era ancora pronta.
Si sedeva, allora, a leggere il giornale, la faccia buia. Non c'era allegria, condivisione, aiuto, sporcarsi le mani insieme, riderne. Era un compito riservato alle donne, la conserva. E la cena. Apparecchiare, portare in tavola, sparecchiare.
In silenzio, sperando che il cattivo umore gli passasse così com'era venuto.
Preparavi in fretta la pasta, con il sugo già che c'eri, senza cipolla ché lui ne detestava l'odore, quel buon profumino di soffritto lo riempiva d'ira. Bisognava comunque, cipolla o no, cucinare con la porta ben chiusa e la finestra spalancata, che “gli odori di cucina” lo irritavano moltissimo. Meglio evitarne le ire, per me terribili. Mi rendo ben conto che ci son cose peggiori da sopportare, come dicono le persone più sagge di me e di te, ma io sento ancora la paura che mi stringe lo stomaco, anche ora, che sono grande, e sassi in specie non ne tiro più. Cercavi di non farci sentire la tua preoccupazione, per il tuo ritardo. Cercavi di preparare il più velocemente possibile. E servivi i maccheroncini caldi e ben conditi, allora non contavo le calorie, mi piaceva il mio piatto pieno, mi piaceva il sugo rosso e profumato. Aspettavi da lui una parola gentile. Un sorriso, magari.
Sono insipidi. Dov'è il sale?”.