La nonna aveva i baffi.
Nel mio ricordo, è la nonna.
Non mia nonna. Mia è così personale, sottintende un
affettuoso possesso condiviso che non mi è appartenuto.
Aveva una discendenza numerosa ed era
soprattutto la nonna degli altri nipoti. Io avevo un difetto
gravissimo che, pur del tutto indipendente dalla mia volontà e da
ogni eventuale impegno per cambiare, mi rendeva antipatica ai suoi
occhi: ero femmina. A dire il vero, anche la maggior parte degli
altri nipoti era del sesso sbagliato: siccome però era stato
generato dal figlio preferito, un po' della polverina magica di
questo amore per me inspiegabile si era loro appiccicata addosso
facendole risplendere ai suoi occhi di nonna di una luce speciale.
Il buio, tutto a me.
Per questi suoi baffi, la nonna aveva
scelto un trattamento particolare.
Li decolorava.
Usava una crema pastosa, bianca e
puzzolente, che teneva chiusa nell'armadietto del bagno.
C'era un solo bagno, a casa dei nonni.
L'appartamento si trovava a piano terra
“per controllare meglio le piante”, così mi avevano fatto
credere: i nonni si occupavano infatti del giardino condominiale,
forse in cambio di uno sconto sulle spese. In realtà, doveva costare
davvero poco di affitto: i piani più alti erano per chi poteva
permetterseli.
La mia beata innocenza ignorava a quel
tempo tutti questi segreti che regolavano la vita degli adulti.
La finestra del bagno aveva una grata a
cancelletto, di alluminio zincato disegnato a losanghe estensibili,
in modo che si potesse sia aprire che chiudere: a chiave, girandola
nella minuscola serratura.
La porta del dannato minuscolo bagno
era a vetro: opaco, sì, ma sempre più sottile di quello che avrebbe
dovuto. I rumori, non li teneva certo dentro.
Se a una poverina, che già non poteva
chiudersi a chiave in bagno perché la privacy era riservata agli
adulti, scappava una scoreggina, il suono sarebbe trapelato così
sonoramente che quelli di fuori avrebbero potuto scommettere su
quello che aveva mangiato a pranzo. Roba da traumatizzarti per il
resto della tua vita.
Nel bagno, la nonna era riuscita a
incastrare un'enorme lavatrice, lo stendino per i panni, tre grosse
piante da appartamento più alte della me stessa di allora, i
sanitari – lavabo, water, bidet e vasca – e l'armadietto delle
meraviglie, candido, lucido - nel quale custodiva la sua crema
decolorante per i baffi.
E' rimasto un mistero, per me, il
motivo per cui non usasse un metodo più efficace. I peli erano
diventati così grossi e folti che strappandoli avrebbe lasciato dei
fori più visibili ancora? Una volta iniziata, era diventata
un'abitudine impossibile da abbandonare?
Costava meno?
Tutti quelli che avrebbero potuto
svelarmelo, o sono morti o hanno l'Alzheimer.
Lei decolorava.
Si spalmava i baffoni con questa pasta
bianca traslucida,
anche davanti a me che tanto ero
piccola “e si sa che i bambini non capiscono”, aspettava qualche
minuto poi chiudeva la porta del bagno: all'operazione di
asportazione mi era vietato assistere.
Emergeva dal bagno tutta una splendore,
perché la nonna era vanitosissima: ombretto, fard, rossetto...e
baffi biondi da vichingo.
Secondo me lei non li vedeva, i
moustaches.
Come quando ti ostini ad indossare gli
occhiali con la montatura marrone che fanno tanto zia di Superman:
non ti vedi, povera.
La misteriosa pasta cremosa –
comunque - doveva avere dei poteri nutritivi, non si spiegano
altrimenti quei baffi così folti.
I bulbi piliferi si nutrivano
voluttuosamente di quella untuosità puzzolente, perché prosperavano
come gerani in un vivaio.
Chissà, brevettarla come miracolo
anticalvizie: la nonna avrebbe fatto i soldi, e addio al piano terra!
E oggi, che quando passo distrattamente
davanti ad uno specchio sorprendo mia nonna a guardarmi dal riflesso,
almeno una certezza mi conforta:
io, i baffi, non ce li ho.
Per ora.